Il Montebore, formaggio rarissimo, risorge dalle ceneri: il merito è di un giovane casaro

Immaginate un giovane che con passione e dedizione riscopre i sapori dimenticati di un’epoca lontana, portando in tavola una vera e propria prelibatezza dal passato. Matteo Grattone ci ha dimostrato che la tradizione non ha età, soprattutto quando si tratta di delizie gastronomiche.

Assaporare un boccone di storia è possibile grazie a Matteo Grattone, ventiquattrenne che con fervore ha riportato alla luce il Montebore, formaggio di nobili tradizioni quasi svanito nell’oblio della modernità. Niente è stato più lo stesso dal 2014, quando il Montebore aveva cessato di essere prodotto, fino a che nel 2021 Matteo ha deciso di rispolverare questa ricetta antica presso il caseificio di Terre del Giarolo.

Rientrato a casa dopo lunghe ricerche, Matteo ha trovato nell’appoggio familiare il sostegno per rimettere in piedi la Cooperativa Vallenostra, la custode segreta della formula segreta del Montebore. Questo formaggio ha un passato da far invidia; narra la leggenda fosse l’unico a ornare i banchetti per le nozze tra Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona nel 1489 a Tortona.

La Sfida e il Rinnovo di un Sapore d’Eccellenza

Produrre il Montebore non è esattamente una passeggiata. Matteo non tarda ad evidenziare la difficoltà più grande: reperire il latte giusto. Nella sua routine quotidiana, Matteo si fa strada tra gli allevamenti di Val Curone, Val Staffora e Val Borbera in cerca dell’ingrediente fondamentale. Eppure, la stagionalità non gli facilita il compito. Malgrado ciò, crescere la domanda è la sfida vinta ogni giorno; infatti, sono sorti molti caseifici nuovi.

Il sapore di questo formaggio è il frutto di una miscela ben studiata: 30% pecora, 70% vacca, e ora c’è una novità. Il Terre del Giarolo ha reso omaggio alla tradizione aggiungendo un 5% di latte caprino, per donare al formaggio una marcia in più.

La Magia di un Artefatto Gastronomico

Ecco come si dà forma all’arte casearia: si prende il latte crudo, si riscalda a 36°C e si aggiunge caglio naturale. Quando la cagliata è pronta, si procede allo scolamento nelle formelle, creando quel profilo familiare a piramide di torte. Poi è il turno della salatura, a mano, con del sale marino puro.

La fase della stagionatura è un rito: le forme si impilano e riposano da qualche settimana fino a cinque mesi. Alcune selezionatissime rimangono fino a un anno in una cella atmosferica, imitando l’umidità di una grotta, fra muffe amiche. Il Montebore di solito si presenta in tre strati, ma per gusti e festività si può salire anche a quattro o cinque.

Il Montebore è un camaleonte della cucina: perfetto per risotti, pasta ripiena, gnocchi; per non parlare del connubio con noci, miele di castagno, fichi. La sua armonia si completa con la cugnà e sorprende accanto a composte di zucca, zenzero, cipolle, peperoni rossi e quel tocco di aceto balsamico che non si rifiuta mai.

“La tradizione non è la venerazione delle ceneri, ma la custodia del fuoco”, sosteneva Gustav Mahler, e questa massima sembra essere stata presa letteralmente a cuore da Matteo Grattone, il giovane casaro che ha riportato in vita il Montebore, un formaggio la cui storia si intreccia con quella dell’Italia medievale.

La sfida di Grattone non è stata solo quella di riprendere una produzione interrotta, ma di rinnovare una tradizione rispettandone l’essenza. L’aggiunta del cinque per cento di latte di capra alla ricetta originale è un esempio di come il passato possa incontrare l’innovazione senza che uno debba necessariamente escludere l’altro. In un’epoca in cui il cibo è sempre più standardizzato, storie come quella del Montebore ci ricordano l’importanza della biodiversità alimentare e della salvaguardia delle produzioni locali.

Il successo di Grattone, testimoniato dalla crescente domanda e dalla nascita di nuovi caseifici, dimostra che il futuro dell’alimentazione può e deve passare attraverso la riscoperta e la valorizzazione dei prodotti del territorio. Il Montebore, con la sua storia secolare e la sua produzione artigianale, è un simbolo di come il cibo non sia solo nutrimento, ma cultura, storia e identità.

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